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PC, PLAY STATION, TABLET E CELLULARI AI BAMBINI IN ETA’ PRESCOLARE: ATTENTI ALL’USO!

Pc, Play station, tablet, cellulari ai bambini in età prescolare: attenti all’uso!

Il cervello dei bambini è differente da quello adulto.
Le strutture anatomiche della corteccia pre frontale richiedono circa 25 anni per maturare completamente.
In questa zona risiedono aree deputate al controllo, pianificazione, organizzazione e le funzioni metacognitive.

Invece la parte del cervello più antica, quella limbica, che ci accomuna agli animali, dell’istinto e delle emozioni, è già sviluppata sin dalla nascita.

 

Pertanto i bambini in età prescolare di fronte ad un dispositivo elettronico: televisione, cellulare, computer e tablet, i bambini non sono capaci da soli di regolarsi nella fruizione e metabolizzazione dei contenuti provenienti da questi.

In particolare in età prescolare appunto, i bambini quando sono coinvolti emotivamente da un gioco, da un cartone animato, da un video, non riescono a interrompere questo momento di piacere e nemmeno a comprendere le informazioni che ricevono.

Come non sono in grado di capire la differenza tra il “virtuale” e il reale.

 

È stato dimostrato scientificamente che questi dispositivi attivano cascate di ormoni. Questi ultimi attivano a loro volta il circuito dello stimolo-ricompensa. Pertanto, se ne vorrebbe ancora di più di questa fruizione.
È un meccanismo tipico delle dipendenze, quindi molto pericoloso, se viene consentito sin da piccoli.

Ad esempio, se ad un bambino di pochi mesi si toglie il cellulare, si produce in lui un senso di frustrazione e inizia a piangere.
Se gli viene dato di nuovo il dispositivo, si calma immediatamente.

Se poi gli viene tolto nuovamente ricomincia a piangere e fa ancora più fatica a calmarsi.

 

Questi dispositivi rendono i piccoli fruitori passivi.
Sono stimolanti e avvincenti: dai suoni ai colori, alla dinamica delle immagini…
“Riempiono” più di altri giochi non elettronici, che richiedono impegno, immaginazione e attività.
Nel tempo l’esagerato uso di questi sistemi, disabitua il bambino a fare giochi non tecnologici. Divenendo i questi ultimi noiosi e piatti.
Si rischia di vivere così tutto il resto con un senso di vuoto e noia, che crescendo non sapranno gestire (con rischi soprattutto nell’adolescenza, di “riempire questo vuoto con modalità eccessive) …
Invece di uno spazio in cui creare.

 

È vero che ci sono anche giochi e programmi pedagogici creati appositamente, ma per i bambini in età prescolare sarebbe meglio evitare anche questi, per i motivi sopra esposti.

Abbiamo intelligenze multiple, tra le 10 e le 11 e abbiamo bisogno di stimolarle in modi differenti per far emergere le potenzialità individuali,
attraverso un fare concreto.
Lo sviluppo delle intelligenze avviene attraverso la partecipazione attiva e il movimento.

 

Ricordiamoci che i bambini, soprattutto in età prescolare, non distinguono la realtà dalla fantasia.

Se stanno combattendo o correndo in un video gioco o guardando cosa avviene in un video, si sentono come se fossero anche loro dentro.

Nel loro cervello si attivano le stesse zone e ormoni che si attiverebbero nella realtà (per effetto dei neuroni specchio). Sono reazioni e sostanze chimiche che devono essere poi smaltite.
Ecco perché si riscontrano spesso reazioni di aggressività e rabbia, nei bambini, dopo che hanno terminato un gioco.

 

Per buon sviluppo, i bambini devono essere attivi, liberi di immaginare e usare la loro fantasia. Non stimoli pre confezionati.
Si impara di più dalle relazioni attive che da quelle passive.

 

Questa fruizione passiva rischia di farli crescere meno competenti nelle relazioni, nelle abilità emotive e che possa essere più facile isolarsi in un mondo virtuale meno “difficile” di quello reale.

Ricordiamoci di moderarne anche noi adulti l’uso, perché siamo sempre di esempio, per esposizione naturale continua.
Questi dispositivi rischiano di diventare comode baby sitter con conseguenze negative nella crescita dei nostri figli.

 

Per la mia esperienza professionale e di genitore, sconsiglio pertanto l’uso di questi dispositivi in età prescolare.

Ad età successive, suggerisco di moderarne l’uso rispetto a tempi e di scegliere il tipo di gioco e attività con attenzione.

Lasciando spazio per tante altre attività ludico, sportive, ricreative, sociali più reali.

Viviamo in un mondo tecnologico, non possiamo farne a meno. Ma insegniamo ai nostri figli quando, come possono usarlo e perché.

 

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STRESS E ANSIA DURANTE IL LOCKDOWN: GESTIONE

In un momento di instabilità, come possiamo riuscire a GESTIRE lo STRESS dell’INCERTEZZA e del CAMBIAMENTO?

  1. ACCETTAZIONE Lo STRESS è una risposta psicofisica che l’organismo attiva di fronte a stimoli che percepisce come eccessivi.
    La situazione che stiamo vivendo è particolare, non può non produrre DISAGIO.
    Genera instabilità su diversi piani: FISICO, PSICHICO, EMOTIVO, COGNITIVO e RELAZIONALE.
    Tutte le certezze di prima sono state messe in discussione.
    Ciò che era ovvio e normale è mutato completamente in pochissimo tempo, senza dare all’organismo e alla mente, uno spazio di tempo di ADATTAMENTO.
    Ci si è trovati in poche ore a rivedere la propria esistenza su tanti fronti.

E’ NORMALE quindi percepire EMOZIONI CONTRASTANTI.
Senso di smarrimento, confusione, preoccupazione, incertezza, ansia e opposizione.
Come è normale sentirsi così, avendo perso i propri punti di riferimento di prima.
Quindi dobbiamo innanzi tutto partire dall’ACCETTARE questi sentimenti per poter reagire in modo utile. Non negarli o combatterli.

Anche in situazioni come oggi, in cui vediamo limitata la nostra libertà individuale e sociale, e’ però necessario scegliere di REAGIRE IN MODO UTILE per evitare che tutto questo malessere  abbia una ripercussione sulla persona, danneggiando il suo sistema immunitario e psichico con gravi conseguenze nel breve e lungo periodo.

2. GESTIONE DELLE EMOZIONI

Innanzitutto ricordiamoci che ogni EMOZIONE che proviamo ha una FUNZIONE.
Anche le emozioni definite “negative”, come la rabbia, l’ansia, il nervosismo, la paura, è normale che esistano e hanno un SIGNIFICATO.
Esprimono dei BISOGNI.
I bisogni sono le SPINTE, le motivazioni che muovono l’essere umano e fanno un SENSO alla vita.
Da quelli FISIOLOGICI (mangiare, bere, dormire, respirare…), necessari alla sopravvivenza. A quelli RELAZIONALI (amare ed essere amati, di sicurezza, importanza, utilità…). Ai bisogni SOCIALI (di appartenere a un contesto, gruppo).
Se questi bisogni sono SODDISFATTI, proviamo emozioni positive, se NON lo sono, emozioni negative.
Il problema è la DURATA di queste.

Non si può pertanto  non provare sentimenti di rabbia, tensione, ansia, frustrazione… Perché dei bisogni sono IMPEDITI nel loro realizzarsi.
Il bisogno di sicurezza, autonomia, indipendenza, libertà, condivisione, socialità ecc.
Come dicevo prima, sono vissuti che dobbiamo esprimere, ma nel MODO GIUSTO.

Quello che possiamo fare quindi è GESTIRE ciò che proviamo, evitando che duri per un tempo lungo.
Sono le emozioni CRONICHE che danneggiano.
Le emozioni, sensazioni, producono una CASCATA DI REAZIONI fisiche e chimiche con la produzione di ormoni: adrenalina, noradrenalina, cortisolo… ecc, che hanno la funzione di far RE-AGIRE l’organismo, facendo fronte a ciò che accade.
Ma se queste sostanze, ormoni, restano in circolo per troppo tempo o vengono alimentate da pensieri continui, INTOSSICANO il corpo e la mente.

COME FARE

Allora AUTORIZZIAMO I NOSTRI VISSUTI, ma  diamoci UN TEMPO per esprimerli e poi occuparci di tante altre cose, che possiamo fare anche in casa.
Quando provo tensione e rabbia, posso prendermi un TEMPO di qualche minuto, anche a più riprese nel corso della giornata, se necessario e FARE DEI GRANDI RESPIRI A SBUFFO, immaginando di buttare fuori la tensione, per qualche minuto. Fare ATTIVITA’ FISICA o scarico di tensione nel movimento, cambiare stanza, cambiare attività. SCRIVERE al soggetto che mi produce rabbia e buttare via questo scritto.

Quindi, non possiamo aspettarci di non provare paura per la nostra sicurezza e di chi amiamo, di fronte ad un pericolo reale, invisibile che non è controllabile pienamente.
Ma ciò che possiamo fare è NON AMPLIFICARE ciò che accade, alimentando la paura trasformandola in ansia. Ovvero esagerarne il livello, rischiando la paralisi o procurandoci altra sofferenza inutile.
La funzione invece utile e fisiologica della paura è quella di renderci VIGILI, quindi ATTENTI e pronti a mettere in atto azioni di PROTEZIONE.
Quindi seguiamo le INDICAZIONI che ci vengono date  dalle fonti ufficiali, senza approfondire e leggere di continuo articoli o video sul coronavirus, rischiando anche di farsi condizionare da false notizie.

 

TRANQUILLIZZARE IL CORPO

La paura si gestisce lavorando su più livelli.
Il primo, è ACQUIETARE il corpo agitato, che non riesce a ragionare nei momenti in cui c’è l’emozione in circolo, attraverso la RESPIRAZIONE diaframmatica. Solo dopo che il corpo si è tranquillizzato, è possibile passare al secolo livello: quello di fare PENSIERI UTILI e REALISTICI.
Se il corpo non ha ridotto la risposta fisica, quindi la mente più istintiva-emotiva non si è “sfiammata”, NON È POSSIBILE RAGIONARE con la parte della mente logica e razionale.

Si può respirare  facendo dei RESPIRI PROFONDI per qualche minuto. O con la RESPIRAZIONE ADDOMINALE-DIAFRAMMATICA in cui si gonfia inspirando la pancia e la di sgonfia espirando.

 

ACQUIETARE LA MENTE

Dopo aver tranquillizzato il corpo, allora con l’emozione che si è dissolta, ci si può PARLARE rendendo i pensieri che avevamo in testa prima più utili.
Spesso facciamo, nei momenti emotivi pensieri che ESAGERANO, amplificando la realtà, come anticipato sopra,  o che NON NOTANO ciò che va contro il pensiero e che smonterebbero l’esagerazione.
Ricordiamoci che come ci parliamo, CREIAMO IL NOSTRO MONDO  e le sensazioni che proviamo.

Altre tecniche che tranquillizzano, possono essere il SOSTITUIRE una EMOZIONE spiacevole e che dura da troppo tempo rievocando per qualche minuto, RICORDI RECENTI di momenti piacevoli e le emozioni positive provate. Lo yoga, la meditazione Mindfulness…

NELLA QUOTIDIANITA’

Un suggerimento pratico è quello di creare delle ROUTINE in questa normalità casalinga: al mattino faccio questo, poi quello…
La RIPETITIVITÀ dà sicurezza e permette di ridurre il disorientamento del cambiamento.

Diamoci dei COMPITI e OBIETTIVI quotidiani. Dicendoci che “facciamo quello che possiamo: una cosa alla volta”…
Proponiamoci anche con una LISTA SCRITTA, che aiuta a concretizzare, di fare alcune di  quelle COSE che non riusciamo a fare PRIMA, che avremmo voluto fare. MA ANCHE IN UN TEMPO PIÙ lento.
La TECNOLOGIA aiuta ad avere la possibilità di fare attività anche da casa.
Su YouTube troviamo video di lezioni yoga, fitness, meditazione …
O il corso di uncinetto che avrei voluto fare, di acquerello, la lingua straniera che volevo imparare, quel corso per il pc, prodotti di bellezza fatti in casa, lezioni di chitarra…
Mettiamo del TEMPO PER NOI in questo tempo più lento, che non vuol dire ore, ma anche pochi minuti per volta ma ponendo ATTENZIONE e PRESENZA su quello che sto facendo …

 

SENTO COME VEDO

Ciò che cambia tutto, per  concludere, è quindi il nostro ATTEGGIAMENTO, le lenti degli occhiali con cui guardiamo il mondo, ciò che ci accade: IMPARIAMO QUALCOSA DI UTILE anche in questo periodo particolare, da portarci con noi nel DOPO.
FACCIAMO BUONI E UTILI  PENSIERI che alimentano buone EMOZIONI.
ACCETTIAMO  i momenti di tensione e sconforto.
Diamoci UN TEMPO PER ESPRIMERE queste emozioni, attraversiamole, non reprimiamole, abbiamo detto, ma dopo qualche minuto, stop. Non le alimentiamo.

 

RIASSUMENDO

Possiamo scrivere i nostri pensieri per lasciarli sulla carta, prenderci una pausa per respirare un po’, parlarne  con qualcuno per sfogarci, fare attività fisica at home e tanti esercizi di rilassamento che troviamo sul web.
Osservare e modificare i pensieri tendendoli realistici e quindi meno pesanti.

A quasi tutto nella vita c’è una SOLUZIONE. Viviamo al meglio possibile, anche in questo periodo, perché AGIRE SULLA NOSTRA MENTE E SUL NOSTRO CORPO è un POTERE che abbiamo e che nessuno può toglierci!

 

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pensare bene

COME VIVERE BENE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS: 1 PENSARE

La parola crea. Il linguaggio che uso crea il mio mondo soggettivo.
Ovvero, i pensieri che faccio creano le emozioni, quindi sensazioni che vivo.
Questo vale sempre, ma è necessario esercitarsi a fare buoni pensieri in questo periodo particolare.

Facciamo un esempio.
1Prova a dirti. “Mi sento in gabbia! Non sono libero!”. Quali emozioni ti suscitano questi pensieri? Soffocamento, angoscia, rabbia?
2 Prova invece a dirti “E’ vero che non posso fare come prima, ma delle cose le posso ancora fare, pure in questa situazione. Ad esempio posso fare questo …“. Questa frase realistica, ma più utile, quali emozioni ti fa provare dentro?
Più leggere di quelle precedenti, immagino.

Fare pensieri realistici non significa vedere il positivo dove non c’è, ma neanche solo il negativo. Significa stare sulla realtà: non può essere tutto un disastro (è impossibile), come non può essere tutto fantastico (non siamo in un mondo irreale).

Quindi non ti chiedo di raccontarti bugie ma di usare frasi che abbiano un impatto emotivo meno doloroso
Tu come ti parli in questo periodo?

Le emozioni che proviamo producono una cascata di reazioni, ormoni, che se circolano continuamente, possono danneggiare il nostro sistema immunitario.
Lo conosciamo bene il famoso ormone dello stress, il cortisolo, o l’adrenalina, che se cronici, sono tossici per il nostro corpo per la nostra mente.
Come ci parliamo, costruisce il mondo di emozioni e sensazioni che proviamo: facciamo buoni pensieri, oggi, domani, sempre.
Nulla ci può portare via questo potere!!!

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Girl With Sun Light

CORONAVIRUS: VOGLIO VIVERE BENE!

“Da che punto guardi il mondo tutto dipende”.
Dalla frase di una famosa canzone alla realtà che stiamo vivendo, una
guida pratica per vivere bene nei giorni del coronavirus.

Il modo in cui  ci parliamo, produce le sensazioni che proviamo.
Tutti siamo preoccupati a causa di questo pericolo invisibile che si diffonde senza il nostro controllo.
Tutti assistiamo ad una riduzione della nostra libertà e delle nostre capacità di scelta.

Tornando a quello che mi dico, che modifica ciò che provo: se mi dico “non è giusto non posso fare più niente di quello che voglio” questo pensiero mi produce sensazioni di rabbia, dolore, frustrazione, ansia, chiusura…
Se invece mi dico “è vero che non posso fare le cose come prima, ma posso scegliere come vivere al meglio questa situazione,” questo tipo di dialogo con se stessi è più utile di quello precedente e produce sensazioni meno pesanti. Apre alla possibilità, fiducia, speranza …

Ecco come fare per vivere bene ai tempi della paura.

1. PENSARE
Dialogo interno UTILE con noi stessi. Facciamo PENSIERI REALISTICI (non solo ottimistici ma nemmeno totalmente pessimistici perché possiamo perdere in entrambi i casi una parte di realtà).
2. PERCEPIRE
Cambiamo quindi gli occhiali con cui GUARDIAMO quello che succede: se sono continuamente in allarme, ansia, agitazione, vado in tilt con costi alti per il mio sistema immunitario e per le mie relazioni. Invece di oppormi, lottare, facendomi del male e soffrendo devo ACCETTARE.
Questa situazione che stiamo vivendo è un dato di fatto, non la posso cambiare. Seguo le notizie dalle fonti ufficiali (attenzione alle fake news!), limitando le altre o evito di approfondire in modo esagerato.
3. FARE
Posso orientare il mio AGIRE. Io come singolo cosa posso fare per gli altri e per la mia vita, in questo tempo sospeso? È vero che la nostra libertà, autonomia e possibilità di scelta sono state limitate per un bene comune. Ma l’essere umano è resiliente, quindi capace di adattarsi alle situazioni attingendo alle sue risorse e in grado di crescere attraverso le difficoltà. Quindi siamo capaci di adattarci alla restrizione, anche se può essere faticosa per il tempo lungo.
Voglio allora vivere il mio stare a casa come un COMPORTAMENTO ATTIVO per contribuire alla mia salute e a quella degli altri.
4. QUOTIDIANITÀ
Organizzo le mie giornate, in modo da non lasciarle al caso e di ristabilire un senso di controllo e sicurezza, persi a causa di questa situazione. Affronto un giorno alla volta vivendo nel presente.
5. VIVERE NEL PRESENTE
Riscopro questo tempo, che spesso, nella precedente quotidianità di qualche settimana fa era evaso, a causa della distrazione, fretta, presi dal fare e dal domani, perdevamo il prezioso QUI ED ORA. Uso i sensi e il cuore per SOSTARE nel presente in modo consapevole e attento.
Rallento, annuso, sento il profumo dei suoi capelli, percepisco la tenerezza del suo tono di voce, assaporo il gusto della fragola, apprezzo fare i compiti con mio figlio…
6.RELAZIONI
Manca la relazione con l’altro, gli amici le uscite. Riscopriamo però in questo tempo la relazione con chi amiamo, attraverso UN TEMPO DEDICATO ad esempio alle video chiamate con gli amici o con i miei familiari. Osserviamo il nostro interlocutore con più calma, la sua mimica, il suo tono di voce, ascoltiamo con attenzione cosa ci dice…  Quanto eravamo  davvero attenti all’altro prima?
7. CRESCERE
Ripenso alla qualità del mio vivere di prima veloce, distratto e non porto tutte queste MIE SCOPERTE solo come propositi per il domani ma le esercito nell’oggi, con piccoli compiti-obiettivi quotidiani che posso darmi. Esercito i “muscoli” del rallentare, dell’ascolto attivo, dell’essere presente… Riprendo il gusto di ciò che in ogni epoca è prezioso. Cosa sto scoprendo nel tempo di oggi?

È vero che non è semplice.
Ma se LIMITIAMO i momenti di sconforto e le preoccupazioni a qualche momento con la funzione di scaricare le tensioni, possiamo poi ripartire dicendoci che VOGLIAMO GUSTARCI ciò che di buono c’è nella nostra giornata di oggi, per vivere al meglio possibile, questo è ancora in NOSTRO POTERE!!

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ABBUFFATE O MANGIARE PER FAME

Assaporiamo il cibo mentre mangiamo o ci abbuffiamo?
Diciamo di mangiare per GUSTO, ma in realtà dopo 3 o 4 morsi le nostre ghiandole salivari sono sature di quel cibo, che proseguendo nel mangiarlo, diventa insapore.

Spessa capita di mangiare per EMOZIONI. All’inizio mangiamo perché siamo tristi, annoiati, arrabbiati, ma poi continuiamo a farlo, strutturando una abitudine non utile, ogni volta che proviamo queste emozioni. Però non ci sentiamo meglio, anzi!

Quando vediamo quel particolare CIBO, la salivazione aumenta e desideriamo mangiarne grandi quantità. Proprio perché abbiamo strutturato con quel cibo, nel tempo, a causa di diete o divieti, un cattivo rapporto, fino a farlo diventare ancora più desiderabile.

Spesso quando mangiamo siamo DIS-CONNESSI, non attenti e presenti nell’atto di assunzione del cibo. Ovvero non pensiamo a ciò che stiamo facendo. E’ come se ci mettessero una benda sugli occhi (della nostra consapevolezza) e accettassimo di mettere in bocca qualsiasi cosa ci venga proposta.

Le emozioni, le abitudini, certe situazioni, certi cibi, ci inducono a mangiare più di quanto il nostro corpo avrebbe bisogno. Ecco la FAME EMOTIVA che favorisce le ABBUFFATE.

Possiamo riprendere noi il POTERE e non lasciarlo al cibo, alle situazioni, alle emozioni.
RICONNETTENDOCI al NOSTRO CORPO, ai segnali interni che ci invia, alle sensazioni, per scegliere liberamente QUANTO E COME MANGIARE, recuperando il vero senso del gusto e mantenendo per il nostro corpo, il GIUSTO PESO.

 

 

Sono possibili percorsi individuali o di gruppo con

ABBUFFARSI O MANGIARE PER FAME
In ascolto del tuo corpo, del vero senso di fame, del tuo stomaco e mangiando davvero per gusto!

 

Chiedi info: 347-7664127
D.ssa Loconte Giovanna Psicologa Psicoterapeuta – Trainer in Mindful Eating (alimentazione consapevole)

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educazione bambini

Come farsi ubbidire senza usare metodi coercitivi?

“Mio figlio è molto impegnativo!”

“Quando fa i capricci vado in tilt e non so più che fare!”

“Non mi ascolta mai!”

“Mio figlio è tremendo: fa quello che gli dico solo quando urlo!”

Queste parole esprimono lo sconforto, la fatica o il sentimento di impotenza che accompagna l’educare i figli. Queste frasi però raccontano anche di quanto le etichette che usiamo, le visioni esagerate che creano in noi emozioni di rabbia, colpa, tristezza, bloccano le nostre risorse, le nostre capacità di riflettere e quindi agire in modo efficace.

Ogni situazione è di per sé neutra, siamo noi ad attribuirne un significato positivo o negativo, in base a come la “pensiamo” e interpretiamo.

Imparare ad esercitare l’autocontrollo con attribuzioni efficaci, a restare consapevoli della funzione del nostro ruolo, utilizzando in modo proficuo i nostri vissuti emotivi, grazie all’uso di tecniche assertive di rinforzo in merito al comportamento del nostro bambino, ci aiuta a relativizzare, riconoscendo che NON E’ SBAGLIATO O CATTIVO IL NOSTRO BAMBINO O NOI COME GENITORI, ma è il suo o il nostro atteggiamento e/o comportamento, in quella situazione.

Permettendoci di andare oltre le nostre paure, aspettative, dubbi e insicurezze personali, riusciremo ad accedere alle risorse sempre presenti in tutti noi, di cui spesso non siamo consapevoli per primi, proprio perché appannate da tali carichi emotivi.

Proviamo quindi a:

1. Prenderci una pausa quando siamo stanchi e sovraccarichi;

2. Svolgere attività piacevoli per ricaricarci;

3. Imparare a parlare a noi stessi, esercitando l’autocontrollo (è un “muscolo” che si può allenare!);

4. Usare pensieri più efficaci, non generanti rabbia, ansia o impotenza;

5. Imparare a usare “messaggi IO” e non “messaggi tu” (cioè partendo da me e non da te-figlio);

6. Usare le nostre emozioni per metterci in contatto con nostro figlio;

7. Provare a metterci nei panni di nostro figlio e cercare di capire se vede le cose in modo diverso da noi (potremmo renderci conto che esiste un punto di vista diverso e che possiamo capire);

8. Usare la sgridata-castigo solo se serve (ma che sia breve e comprensibile), ricordandoci comunque di rinforzare la sua autostima e confermare il nostro amore (perché per i bambini non e’ così scontato dopo una litigata);

9. Sostenerci, facendo in modo di essere una reciproca risorsa per il nostro partner, pur esprimendo le nostre differenze.

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SEPARAZIONE E SALUTE: SAI COME STA TUO FIGLIO?

Il Gruppo Parola per i Genitori Separati come risorsa per capire e rispondere ai vissuti emotivi di tuo figlio

 

La separazione è un evento della vita che può capitare ad una coppia, nel corso di un cammino intrapreso insieme: succede che i bisogni attesi non siano soddisfatti dall’altro e che si crei un muro invalicabile.

 

I figli possono sopportare la rottura se, come genitori, riusciamo a mantenere un dialogo sereno con l’ex, questo di genitore infatti, è ruolo che continuerà sempre, anche se la coppia non esiste più.

 

Ecco  il segreto per una separazione con “buon” esito: sono i nostri figli la priorità.

Il dolore, la rivalsa, il rancore verso l’ex devono essere messi in secondo piano per poterci occupare del benessere dei nostri figli. E’ un lavoro tutt’altro che facile, in certe situazioni, ma fattibile … -(se ti interessa, puoi approfondire con un altro articolo…)-

 

Come facciamo a sapere come stanno i nostri figli?

 

Ad ogni età i figli mostrano segnali diversi di salute o malessere, ma queste sono aree comuni ad ogni fase di crescita per capire quale è il loro stato di salute:

 

  1. Osserviamo cosa è cambiato nel loro comportamento con se stessi e gli altri o cosa non è cambiato: sono stati travolti da un evento pesante, se non esprimono nulla, arriverà in seguito l’onda d’urto emotiva. Il loro sonno, il modo di rapportarsi al cibo, la loro salute fisica, il loro umore, il loro fare o non fare, il rendimento scolastico, il rapporto con gli amici…

 

  1. Con noi come si relazionano? Ci evitano? Hanno esagerate risposte di rabbia o di pianto? O non sanno da che parte stare e hanno comportamenti diversi e influenzabili con ogni genitore?

 

  1. Si parla della separazione?

Partecipando al gruppo per genitori separati Alice ha colto degli spunti di dialogo ed è rimasta piacevolmente sorpresa perché il figlio di 9 anni ha iniziato a farle domande sull’argomento: era premesso parlare prima di questo?

Quali segnali dava l’adulto per poterlo fare? Con le parole, con i silenzi, con i nostri gesti e le nostre risposte emotive inviamo messaggi di apertura o chiusura.

 

Per trovare risposte, condivisioni e strategie puoi partecipare ai Gruppi Parola per Genitori Separati.

 

D.ssa Giovanna Loconte

Conduttrice del Gruppo per Genitori Separati https://www.psicologaloconte.it/gruppo-genitori-separati/

Psicologa e Psicoterapeuta

 

GRUPPO PER GENITORI SEPARATI

a Rubiera – RE-  presso Associazione Per Mano, via Pitagora 21

Per info e contatti: g.loconte4005ordpicologier.it

347-7664127

www.psicologaloconte.it

 

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psicologa consulenze sonno bambini

Non voglio dormire!!! Se mi addormento tu non ci sei più

Consulenze al sonno perso dei bambini e dei loro genitori…

“Adoro il mio bambino, ma ormai di notte non si dorme più…”

“Appena lo metto nel suo lettino urla e piange”

“A volte penso di non essere un buon genitore, come gli altri…”

Queste sono alcune frasi che esprimono lo sconforto, la stanchezza e il senso di impotenza, riportati da alcuni genitori nel dover gestire un momento molto importante dall’arrivo del loro bambino: quello del sonno.

L’arrivo di un figlio porta solitamente una grande gioia, ma richiede anche l’investimento di tante energie, quindi tanta fatica e possibili turbamenti emotivi.

E’ normale per molti bambini che il loro sonno sia caratterizzato da numerosi risvegli nel corso della notte nei primi anni di vita (per malesseri fisici, situazioni emotive temporanee, cambiamenti, ecc.). Per cui è normale che i bambini ogni tanto si risveglino, ma se ciò succede con questa frequenza il genitore che solitamente dorme quasi tutte le notti è in grado di sostenere le interruzioni del sonno con serenità. Quando invece i risvegli si presentano tutte le notti e per numerose volte, la situazione può divenire critica.

Quindi può capitare di incontrare genitori talmente disperati, nervosi e affaticati per le ore di sonno perse a causa del loro bambino, che vanno alla ricerca di rimedi quasi miracolosi, altri genitori che non ne parlano perché ammettere le proprie difficoltà credono significhi non essere un buon genitore o ancora altri genitori invece disposti quasi a immolarsi per la causa, rassegnati a dormire quando il piccolo sarà maturo.

Numerose ricerche dimostrano che la carenza prolungata di sonno ha effetti negativi sia sull’adulto (nervosismo, mancanza di energie per fare, difficoltà nel relazionarsi, poca pazienza, poca capacità di concentrazione, riduzione delle capacità di memoria, deficit di attenzione, ecc..) sia sul sistema nervoso di un piccolo che sta crescendo, che sul suo comportamento e sullo sviluppo delle sue capacità di regolazione emotiva. Tutto questo può creare un circolo vizioso negativo per la vostra relazione genitore- figlio.

Frequentemente le difficoltà del sonno del bambino sono attribuibili a falsi miti, metodi, consigli e comportamenti non adeguati nel rispondere ai bisogni, alle caratteristiche e ai tempi di quel bambino.

Spesso sono sufficienti piccoli accorgimenti comportamentali e tecniche mirate per restituire un sonno più riposante e ristoratore per tutti, salvo nel caso in cui invece il “disturbo” del sonno sia la spia di un altro disagio (ma questo si valuterà insieme).

Faccio parte dello staff di sonnobambino.it.

Il nostro scopo è aiutare i genitori a trovare le giuste strategie per tornare a dormire sonni sereni e tranquilli insieme ai loro piccoli!

Buoni sogni!

Dott.ssa Giovanna Loconte

 

 

 

 

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depressione post parto

Soffro di depressione post parto…

SONO MAMMA DA POCO: PERCHÉ NON SONO FELICE COME DOVREI?

“Diventare genitore è un’esperienza che ti completa, che ti arricchisce, mi dicevano… allora se non provo questi sentimenti significa che sono un cattivo genitore?” E’ quello che mi chiede Lisa, con la voce incrinata dall’emozione e mamma di Leonardo di 3 mesi.

“Ogni volta che mia figlia piange senza sosta, crollo, inizio a piangere anche io e non so più che fare!” Queste sono le parole di Marina, mamma di Lucia di 3 settimane.

Questi pensieri insieme ad altri segnali, potrebbero essere la spia di un malessere che colpisce frequentemente le neomamme: la depressione post parto, che si presenta spesso nella sue forme lievi e transitorie.

Baby blues, depressione post parto, e psicosi post parto sono sfumature all’interno di uno stesso gradiente di malessere che può manifestarsi nel momento in cui si assume il nuovo ruolo di genitore: espressione di un disagio emotivo, che ha però diverse modalità di esternarsi, per gravità e tempi. Alcuni dati parlano di un’incidenza del 15% per la depressione post parto, arrivando fino al 50-60% per la baby blues.

La Baby blues è una condizione di “malinconia” abbastanza comune e transitoria attribuita alle stanchezza della gravidanza e al carico psicologico e concreto che deriva dal prendersi cura di un neonato, almeno inizialmente.

La psicosi post parto è una condizione grave e rara nella quale si manifesta una grave situazione di sofferenza mentale che conduce a una marcata alterazione della personalità, comprese allucinazioni e compromissione della vita di relazione.

Una condizione intermedia è la depressione post parto nel corso della quale per almeno una settimana sono presenti grande stanchezza, malinconia, crisi di pianto, ansia, sbalzi d’umore, senso di impotenza, di indegnità, confusione, mal di testa e disturbi dell’alimentazione e del sonno, perdita del desiderio sessuale.

L’umore oltre a essere caratterizzato dall’angoscia e tristezza, si accompagna a sensi di colpa infondati e a volte a fantasie di morte.

Molti sono i fattori che contribuiscono all’insorgenza di tali quadri depressivi, non solo di tipo psicologico. Nei giorni seguenti al parto l’organismo subisce una sorta di sconvolgimento caratterizzato da una brusca diminuzione degli ormoni (progesterone, estrogeni, cortisolo, prolattina e tiroidei) molto aumentati nel corso della gravidanza, tali variazioni fisiologiche nella maggior parte delle neomamme, possono essere invece troppo rapide per alcune di esse, producendo forti sbalzi d’umore (come può accadere nella sindrome premestruale).

Situazioni sociali sfavorevoli, economiche, lavorative, o nei rapporti interfamiliari, possono avere un peso nell’insorgenza dei quadri depressivi.

Un fattore determinante nel favorire la depressione post parto è la qualità del rapporto con il proprio partner, la sua assenza o poca disponibilità all’empatia e al sostegno nell’affrontare la gravidanza e il periodo successivo al parto, sono elementi di rischio per la neomamma.

Voglio guarire, dunque posso!

Si possono fare molte cose per stare di nuovo bene, infatti dalla depressione post parto si può guarire!

Adesso che so cosa mi fa soffrire posso agire per ritrovare il mio benessere, così posso finalmente anch’io vivere l’esperienza della maternità con serenità e gioia:

  • ridefinendo le priorità e le aspettative,
  • rispondendo alla mia stanchezza,
  • accogliendo e comprendendo le mie emozioni,
  • ripensando al mio nuovo ruolo di madre e al mio bambino.

Inizia a prenderti cura del tuo malessere leggendo l’articolo: “ Guarisco dalla depressione post parto: cosa faccio per stare meglio con me stessa! “

Guarisco dalla depressione post parto: cosa faccio per stare meglio con me stessa

Finalmente ho dato un nome al mio disagio interiore (vedi articolo : “Sono mamma da poco: perché non sono felice come dovrei?”) : è la depressione posta parto che mi rende molto stanca, che mi fa scoppiare in pianti imprevedibili, che mi crea ansia e inquietudine, non mi fa sentire capace, disturba il mio sonno e mi rende priva di desideri…

Come per altre situazioni di disagio è importante trovare un equilibrio tra l’affrontare da sole la situazione e accettare un aiuto esterno.

Quando si è depresse ogni tipo di intervento viene percepito come inutile, ma in realtà ogni tipo di intervento è già molto importante.

Occuparsi di noi stesse è una responsabilità da adulte che ri –assumiamo anche nel momento in cui diamo alla luce un figlio: tale consapevolezza non deve però essere vissuta con sentimenti di colpa, (classici vissuti legati alla depressione), ma deve essere invece uno sprone al prenderci cura di noi.

Prendersi cura di noi è appunto un atteggiamento da adulti responsabili, non da egoisti, che apporta benessere alla nostra famiglia oltre che a noi!

Occuparsi di noi stesse è quindi un atteggiamento da assumere: probabilmente dovremo costringerci ad agire, facendo in modo che se siamo troppo depresse per occuparci di noi, dovremo ad un certo punto agire decidendo di farlo. Significa che dovremo imporci di dormire anziché lavare i piatti, o telefonare ad una amica quando siamo molto giù… Questo è l’atteggiamento dell’agire: provare ad aiutare noi stesse per uscire dalla depressione che ci fa odiare noi stesse.

Le 11 Azioni:

1 – Faccio l’elenco delle priorità

Quando arriva un figlio e si è depresse tutto sembra un’incombenza necessaria: occuparsi del neonato, le faccende di casa, cucinare, i soldi, la coppia… e non riusciamo a considerarle separatamente, producendo angoscia, frustrazione e fatica. Ridefiniamo la lista delle priorità con noi e il bambino al primo posto, poi mettiamo gli altri figli, il marito e in ultimo la casa. Il neonato richiede il massimo delle attenzioni ma ci sono momenti in cui ci si può dedicare ad esempio agli altri figli. Per le pulizie di casa dobbiamo abbassare le nostre aspettative accettando il livello di pulizia che riusciamo a raggiungere o accettando aiuti esterni.

2 – Sono stanca e mi riposo

Quando si soffre di depressione post parto sentirsi esauste è un classico sintomo, pertanto mettete da parte il resto e dormite, quando il bambino dorme o se il partner, una amica o un parente vi tengono il bambino mentre voi riposate.

3 – Riduco le aspettative verso me stessa

A volte il massimo della stanchezza si raggiunge mesi dopo il parto quando si pensa di aver superato il peggio, pensando di riuscire a fare tutte le cose come prima della gravidanza, caricandosi di incombenze e impegni. Proprio per questo sovraccarico molte mamme sviluppano una depressione post parto dopo alcuni mesi dalla nascita del bambino. E’ importante quindi aumentare gradualmente i propri impegni e attività e solo se ci si sente capaci e forti nel sostenere il ritmo acquisito.

4 – Rallento, faccio le cose con calma, accettando i piccoli obiettivi: ovvero mi impegno in compiti che riempiano il mio tempo, che mi impediscano di farmi sentire il senso del vuoto e senza fretta. Un bambino piccolo interrompe continuamente le attività della neomamma che vanno prese accontentandosi del piccolo risultato (è già tanto aver svuotato la lavastoviglie), diversamente dalla fretta e schema del finire (es. pulire tutta la casa in 2 ore) che avevate prima di diventare mamma. I piccoli obiettivi vanno accettati come grandi conquiste, senza sentirci in colpa, come concederci di non fare nulla anche per pochi minuti.

5 – Faccio quello che mi fa stare bene e non quello che devo: evito le persone o cose che mi

producono emozioni negative

Quando si soffre di depressione post parto obbligarci a fare cose che non ci piacciono peggiora la situazione. Possiamo quindi concederci di evitare persone o situazioni che non ci fanno sentire in armonia con noi stesse.

6 – Mi alleno a fare la mamma

La depressione può far vivere la maternità con ambivalenza: prima di aver un figlio non ci aspettavano che le cose sarebbero andate in questo modo e ora proviamo emozioni contrastanti.

Possiamo aiutarci a riflettere su quali sono i sentimenti e i pensieri in merito alla nostra maternità prendendoci qualche minuto per scrivere: durante la gravidanza io e il mio compagno eravamo felici per l’arrivo di questo bambino? Sono accaduti eventi stressanti in questi ultimi anni (lutti, in ambito lavorativo…) ? Che rapporti avevamo con i nostri genitori? Quali aree di vita sono cambiate e come dall’arrivo del bambino? Esprimere sinceramente i nostri sentimenti, ci aiuterà a identificare gli ambiti in cui siamo a disagio e poter così reagire. Capire come far convivere la maternità con gli altri contesti della nostra vita ci permetterà di reagire anziché annegare nella rabbia.

7- Mi prendo un po’ di tempo per me

Questo comporta ovviamente accettare la collaborazione di chi è intorno a noi, cosa difficile quando soffriamo di depressione e crediamo di non sapere come ripagare l’aiuto.

Dobbiamo pensare che per chi abbiamo intorno sarà un’opportunità stare col bambino, quindi dobbiamo cambiare la nostra idea dell’aiuto come coinvolgimento e partecipazione dell’altro (partner, parenti).

Devo ricordarmi che il tempo che dedico a me è una pausa, che mi consente di ritornare dal mio bambino un po’ più serena, faccio quindi del bene a lui attraverso il bene che faccio a me.

8Mangio con equilibrio

La depressione può ridurre l’appetito. Magiare in modo regolare con spuntini leggeri e prendersi il tempo per farlo è importante. Fate caso all’effetto che certi alimenti hanno sul vostro umore.

Se invece la depressione vi ha aumentato l’appetito, potete rivolgervi al vostro medico o ad uno specialista in nutrizione.

9 – Faccio dell’attività fisica

La depressione toglie la voglia di fare, ma l’esercizio fisico è di grande aiuto per l’umore. Di solito lo sforzo maggiore è quello dell’iniziare. Possiamo imporci di fare passeggiate col bambino, le scale di corsa o pochi esercizi mentre lui dorme.

10 – Parlo con qualcuno

Trovare qualcuno di cui ci si fida per parlare può portarci a ricercare in modo dipendente questa persona. Se parlare con essa ci fa stare meglio è necessario farlo, mettendo da parte i sensi di colpa e accettando che quando miglioreremo potremo ricambiarla o sostenere a nostra volta qualcun altro.

11 – Sto meglio

Guarire dalla depressione richiede tempo e accettazione della discontinuità del nostro umore anche nella stessa giornata: variando dalla gioia alla tristezza in poche ore. E’ necessario quindi non pretendere troppo da noi stesse ma accettare ogni piccolo passo in positivo.

Per stare meglio si può decidere di farsi sostenere da un famigliare, amico o al contrario fare affidamento su un aiuto esterno come uno psicoterapeuta.

Qualsiasi azione scegliamo di attuare è importante che il problemi alla base del nostro malessere siano affrontati, non solo in modo superficiale, per poter così vivere con serenità e gioia anche la nostra maternità!

Non sottovalutiamo, non nascondiamo, non vergogniamoci della nostra vulnerabilità, che è un modo con cui il nostro corpo ci chiede aiuto e manifesta il bisogno e desiderio di stare bene!

E i neopapà? Anche loro soffrono di depressione post parto, ma di questo si parla nell’articolo, a loro dedicato, intanto prendiamoci cura di chi amiamo imparando prima a prenderci cura di noi stesse, ascoltandoci!

Giovanna Loconte

Psicologa- Psicoterapeuta

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Quando due persone decidono di separarsi possono farlo per molteplici ragioni, quella principale che li spinge ha sempre a che fare con il fatto che un rapporto è ormai percepito come irrecuperabile.

Quando a separarsi sono due genitori, l’aver generato uno o più figli, comporta il mantenere la responsabilità di tale ruolo, continuando ad occuparsi appunto di essi.

Tale responsabilità condivisa che prosegue nonostante la separazione non è però sempre così facile da gestire nella realtà.

Separarsi genera forti turbamenti emotivi sugli stessi adulti che avevano puntato molto sul rapporto attualmente finito. Nonostante questi vissuti gli adulti dovranno continuare ad occuparsi della quotidianità e soprattutto dei loro figli! Così per il grande carico emotivo potranno essere meno attenti ai figli, dal momento che dovranno anche gestire i propri sentimenti di rabbia, dolore e delusione. Ciò per dire che pure i genitori più premurosi e capaci possono non accorgersi dei problemi dei figli in tale situazione o sottovalutarli.

Questo articolo vuole dare attenzione a ciò che può passare nelle menti e nei cuori dei figli, per avere spunti su cui riflettere se si è genitori che stanno affrontando una separazione.

I pensieri dei figli

“Se mi comporto bene, mamma e papà toneranno insieme?”

“Papà se ne va, non lo rivedrò mai più?”

“Soffro quando litigano”

“La mamma piange sempre e si sfoga con me”

“Non vorrei che le cose cambiassero”

I segnali

In base al proprio carattere, personalità e storia ogni bambino reagirà in modi diversi a tale evento. Il suo livello di maturità raggiunto potrà influire sull’elaborazione della separazione.

Prima infanzia (0-2 anni): Anche se in questa fase della loro vita i bambini saranno prima incapaci e poi successivamente poco capaci di comunicare ciò che provano o di capire ciò che vivono, non saranno certo indifferenti al malessere di chi si occupa di loro (rabbia, depressione) o a rumori e suoni che esprimono rabbia e tensione o a silenzi pesanti. Potranno esprimere la loro sensazione che qualcosa non funziona con difficoltà nel sonno, cambiamenti nelle abitudini di evacuazione o alimentazione, morbosità nella relazione con un genitore.

Seconda infanzia (2-5 anni): Come per la prima infanzia, anche a questa età i bambini possono aver difficoltà nell’esprimere i loro vissuti, ma la capacità di comprendere ciò che avviene intorno a loro e le parole che sentono, aumenta. Inoltre, questa è anche la fase in cui si mettono al centro del mondo, prendendosi pure le colpe di cose che non dipendono da loro. Il malessere può manifestarsi con comportamenti infantili e regressioni (pipì a letto), difficoltà nel sonno, ad allontanarsi da un genitore, rifiuto della scuola materna o con l’espressione di forti emozioni come la rabbia.

Terza infanzia (5-10 anni):

In questa fase i bambini riescono a esprimere a parole ciò che pensano e colgono le sfumature nelle relazioni. Possono rendersi conto che altri amici e conoscenti hanno i genitori separati e reagire positivamente alla separazione se per loro mette fine a sofferenze e aggressività vissute.

Preadolescenza e adolescenza (10-16 anni):

Questa è un’età in cui i figli riescono a capire la complessità di una relazione e valutano anche le implicazioni economico, sociali ed emotive che la separazione comporta. Possono avere le idee chiare su di chi sia la colpa, anche se nessun genitore lo ha mai dichiarato.

Possono rivolgersi agli amici con cui condividere i loro vissuti piuttosto che con i genitori, che a questa età spesso vengono esclusi o non parlarne a nessuno.

Consapevoli della propria sessualità, possono avere un’opinione in merito ai nuovi compagni dei genitori.

Età adulta non è l’argomento di questo articolo, ma pure a questa età la separazione dei genitori crea turbamenti e reazioni.

Cosa fare

Affinché il cambiamento sia meno traumatico possibile si deve cercare di riportare l’attenzione ai segnali e ai bisogni del figlio, attuando degli accorgimenti come:

  • trovare il tempo e l’energia per esplorare ciò che il figlio prova e pensa;
  • legittimare le sue emozioni, riconoscendo che esistono e che sono dolorose o difficili da gestire (come per l’adulto);
  • rassicurare il figlio di non aver fatto o detto nulla che possa aver portato alla separazione, ma questa è avvenuta perché mamma e papà non si amano più;
  • rassicurare il figlio che essere genitori è per sempre (nonostante non sia sempre facile andare d’accordo con l’ex);
  • proteggere i figli dalle discussioni con l’ex: essere genitori per sempre significa mettere da parte i sentimenti verso l’ex (almeno con i figli e sfogandosi con altri), non avere con lui o lei un buon rapporto va a discapito di nostro figlio.
  • spiegare ai figli le proprie reazioni emotive (autorizzando così il figlio a esprimere e superare a sua volta le proprie). Se il genitore perde il controllo per brevi periodi non crea grandi danni al figlio, ma se questo avviene per periodi prolungati può danneggiarlo.
  • Sostenerli e proteggerli affinché non si sentano soli e impreparati nell’affrontare i cambiamenti che la separazione comporta.

La separazione è un processo, pertanto richiede tempo, per i bambini e per gli adulti, per adattarsi e ritrovare un nuovo benessere.

LA COPPIA SCOPPIA: il sonno agitato può essere uno dei segnali di malessere del bambino …

La coppia nel corso della sua esistenza si trova ad affrontare diversi eventi critici. Si definiscono con questa espressione le diverse prove che mettono in discussione gli equilibri raggiunti fino a quel momento dalla coppia, sul piano delle relazioni e dei vissuti emotivi.

L’arrivo e la gestione di un figlio rientrano in uno di questi eventi critici (così detti prevedibili), che attraverso grandi cambiamenti verificano la tenuta della coppia: rafforzandola o facendo emergere un conflitto latente o che viene eclissato, se i bisogni e le richieste inascoltate vengono spostate altrove.

Quando le cose vanno bene, la coppia cresce, quando le cose non vanno come dovrebbero, la coppia esplode o si allontana.

Crescere un figlio richiede che vengano messi in atto comportamenti volti all’accudimento e protezione, ma anche azioni che spingano all’autonomia (in ogni fase della vita di nostro figlio, coerentemente all’età e tappe di sviluppo, ne seminiamo continuamente), per consentire al nostro bambino un armonico sviluppo della sua personalità.

Quando una coppia è distante o è “scoppiata”, al figlio si fanno richieste proprie e improprie, in modo più o meno consapevole: di vicinanza, affetto, comprensione, attenzione, conferma del proprio valore, ecc… Una parte di richieste è naturale rivolgerla al figlio, ogni tipo di relazione dà risposta a dei bisogni (è la sua naturale funzione!), ma se tutto quello che il nostro compagno o compagna non ci dà lo richiediamo a nostro figlio, questo diventa improprio.

Quando il conflitto tra i partner resta latente, (ovvero nascosto), o si esterna, le richieste di sopperire alle mancanze si possono riversare sul figlio.

Nella notte, momento metaforico e di reale separazione, nel corso della quale si rielaborano i vissuti e le esperienze del quotidiano, il bambino può esprimere e lasciare andare il peso di queste richieste, quando sono eccessive.

I troppi pensieri spesso non lasciano fare dei tranquilli riposi agli adulti, perché non dovrebbero agitare i sonni dei bambini che li manifestano in modo più corporeo e meno consapevole?

Se la gestione del sonno del nostro bambino si fa complicata e tante strategie messe in atto non funzionano, è importante interrogarsi sulle priorità e sui nostri reali bisogni.

Dobbiamo domandarci se stiamo rivolgendo esclusivamente o prevalentemente a nostro figlio conferme di noi come persona (bisogno di sentire che ho un valore, di riconoscimento…) come compagna o compagno (bisogno di essere amati, di sicurezza, di sostegno, di accettazione incondizionata …) e non solo giustamente come madre (bisogno di sentirmi importante nel prendermi cura di qualcun altro, di tenerezza…).

Se ci rendiamo conto che questi bisogni il nostro partner non li appaga più, è possibile che stiamo sovraccaricando il rapporto con nostro figlio e anche attraverso il suo sonno agitato lui possa mostrarcelo.

Probabilmente è il caso di affrontare i nostri carichi emotivi per alleggerire il nostro bambino e il suo sonno, così riusciremo ad accompagnarlo in un percorso di crescita che risponda ai suoi reali bisogni, rendendolo sicuro e felice.

 

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